17 Gennaio 2017

Tutti o nessuno: chi risponde della mancata S.O.S

Tutti o nessuno: chi risponde della mancata S.O.S

La pronuncia in commento riguarda il ricorso per Cassazione proposto da un istituto di credito contro la sentenza della Corte d’Appello di Palermo che ha rigettato, in riforma della sentenza di primo grado, l’opposizione alle sanzioni amministrative comminate all’istituto stesso, in solido con il direttore della filiale, per la violazione della legge 197/1991, art. 3.

Nello specifico si è trattato dell’omessa segnalazione di operazioni bancarie sospette, consistenti nella emissione, da parte di una società correntista presso una Agenzia dell’istituto, di circa trecento assegni bancari per quasi sei miliardi di lire, ma tutti di importo inferiore alla soglia dei 20 milioni di lire e con l’ordine di pagamento “a me stesso”.

A tal riguardo si ricorda che, all’epoca dei fatti in questione, la legge antiriciclaggio suddetta prevedeva all’art. 1 comma 2:  “I vaglia postali e cambiari e gli assegni postali, bancari e circolari per importi superiori a lire venti milioni devono recare l’indicazione del nome o della ragione sociale del beneficiario e la clausola di non trasferibilità. Il Ministro del tesoro può stabilire limiti per l’utilizzo di altri mezzi di pagamento ritenuti idonei ad essere utilizzati a scopo di riciclaggio”.

L’istituto bancario ha basato le proprie doglienze sul fatto che la Corte di Appello, ritenendo sospetta la natura delle operazioni, avrebbe affermato la sussistenza dell’obbligo di segnalazione sul solo dato oggettivo (caratteristiche, entità e natura delle operazioni), trascurando e azzerando il margine di discrezionalità attribuito dalla legge  all’operatore creditizio, ed in particolare di quanto disposto dall’art. 3 della legge 197/1991 che al primo comma prevede: “Il responsabile della dipendenza, dell’ufficio o di altro punto operativo di uno dei soggetti di cui all’articolo 4, indipendentemente dall’abilitazione ad effettuare le operazioni di trasferimento di cui all’articolo 1, ha l’obbligo di segnalare senza ritardo al titolare dell’attività o al legale rappresentante o a un suo delegato ogni operazione che per caratteristiche, entità, natura, o per qualsivoglia altra circostanza conosciuta a ragione delle funzioni esercitate, tenuto conto anche della capacità economica e dell’attività svolta dal soggetto cui è riferita, induca a ritenere, in base agli elementi a sua disposizione, che il danaro, i beni o le utilità oggetto delle operazioni medesime possano provenire dai delitti previsti dagli articoli 648-bis e 648-ter del codice penale”.

Quindi, a detta della banca, la Corte di Appello non avrebbe tenuto in considerazione gli elementi di fatto addotti per dimostrare la piena conoscenza delle condizioni del cliente, essendo la società correntista caratterizzata da una asserita solidità economica ed i movimenti contestati connessi ad esigenze aziendali, in assenza di elementi per presumere che il denaro provenisse da attività illecite, e quindi  non sussistendo la necessità di provvedere alla segnalazione.

In sostanza la banca ha ritenuto che il giudice avrebbe dovuto specificare i motivi per i quali, ferma restando la discrezionalità della banca, si richiedesse un obbligo di segnalazione anche per operazioni di prelievo di danaro (che la banca ha indicato essere “solo” 300 nell’arco di un quinquennio, su un totale di oltre 5000 movimenti) che non ponevano dubbi circa la provenienza lecita in quanto destinato ad esigenze aziendali.

La Corte di Cassazione ha ricordato preliminarmente l’obbligo dei direttori di filiale o dei dipendenti di segnalare senza ritardo, secondo il dettato del summenzionato art. 3 della legge 197/1991, essendo la ratio di detta norma quello di  “contrastare i fenomeni criminali, limitando l’uso del denaro contante e dei titoli al portatore nelle transazioni e prevenendo l’utilizzazione del sistema finanziario a scopo di riciclaggio”, con ciò intendendosi reprimere anche le condotte di pericolo in cui rientrano le operazioni aventi le caratteristiche di quelle effettuate nel caso in esame.

La Suprema Corte, ha evidenziato che, pur ritenendo evidente che è il titolare dell’attività il soggetto cui spetta il potere più ampio di valutare le segnalazioni, avendo i direttori di filiale ed i dipendenti un margine di discrezionalità più ridotto, gli stessi devono comunque segnalare al proprio superiore “ogni operazione che [induca] a ritenere che l’oggetto di essa possa provenire da reati attinenti al riciclaggio”.

Di conseguenza l’emissione di 300 assegni, ognuno di importo inferiore a 20 milioni di lire, e quindi di importo inferiore al limite previsto dalla legge antiriciclaggio, avrebbe dovuto insospettire il bancario, sussistendo il fondato dubbio che il cliente volesse aggirare le norme per evitare i controlli, e conseguentemente la banca avrebbe dovuto diligentemente segnalare alle autorità competenti tali fatti affidando loro il compito di verificare le ragioni di una condotta “pervicace ed oggettivamente sospetta, anziché trincerarsi dietro un convincimento di liceità dell’operato” del cliente, indice di “una radicata tolleranza verso un modus operandi del cliente improntato all’elusione della normativa antiriciclaggio”.