07 Febbraio 2016
Trasformare la crisi in opportunità
Nel 2015 il valore complessivo dei progetti finanziati attraverso le piattaforme di crowdfounfing è pari a quasi 56,8 milioni di euro, con un aumento dell’85% rispetto ai 30,6 milioni di euro rilevati a maggio 2014. Dati del Report “Il Crowfounding in italia” realizzato dall’Università Cattolica di Milano e TIM
Il ripensamento dei modelli di business degli intermediari sta impegnando in una riflessione condivisa circa l’opportunità o meno di diversificare la propria offerta e colmare così lacune commerciali che attualmente tutti, con le dovute differenze, subiscono. In questo un supporto ulteriore è offerto dal ricorrere della formula normativa dei famosi “servizi ausiliari ed attività strumentali” che, fermi i limiti quantitativi di volta in volta imposti, di fatto spronano gli operatori ad ampliare la propria prospettiva poiché, ormai si sa, non si vive di solo credito o di sola garanzia. In questo contesto si calano appieno le nuove forme filantropiche di accesso al credito, pensate per includere minoranze svantaggiate ma destinate a diventare dei veri modelli di business che ribaltano aspetti cardine del rapporto finanziatore – cliente invertendo la logica e ponendo al centro dell’operazione “la persona ed il progetto” e giocano su un potente mezzo di marketing: la condivisione di valore.
A livello geografico, la maggior parte delle piattaforme di crowdfunding, esattamente 26, è collocata nell’Italia settentrionale; un ruolo di rilievo ricopre la città di Milano, sede legale di 16 piattaforme e sede operativa di 18. Nel Centro Italia sono collocate 7 sedi legali e 9 sedi operative; nel Sud Italia si registrano 5 sedi legali e 3 sedi operative.
Dati del Report “Il Crowfounding in italia” realizzato dall’Università Cattolica di Milano e TIM
Nel far ciò si superano le criticità classiche legate all’accesso al credito da parte dei singoli, l’insostenibilità di un progetto di studio, irrealizzabilità di un progetto imprenditoriale.
Le strade sono a dire il vero diverse, alcune già normativamente ben strutturate come nel caso del crowdfunding e del microcredito, e tutte figlie di una nuova filosofia di credito che scorre attraverso la linea del web e della socializzazione dell’impresa.
Non a caso l’Italia è il primo paese al mondo ad essersi dotato di una normativa in materia di equity crowdfunding istituendo un vero e proprio registro gestito da Consob in cui debbono iscriversi i gestori di portali telematici autorizzati a promuovere questo tipo di attività. Si tratta nello specifico di finanziamenti di progetti imprenditoriali da parte di un pubblico indistinto di investitori tramite la raccolta di denaro effettuata appunto attraverso una piattaforma internet. Particolarmente adatto alla start-up e alle aziende di piccola e media dimensione, permette di reperire fondi a progetti difficilmente bancarizzabili con un ritorno da parte del gestore in termini di commissioni, attività di gestione e incasso e valutazione del merito creditizio dei potenziali debitori. Si tratta di uno strumento che si declina in moltissime varianti diversamente caratterizzate a seconda del caso specifico. In generale si rinvengono tre elementi caratterizzanti: un progetto da finanziare, un pubblico di investitori generalmente non professionali, una piattaforma online.
Rimangono poi vantaggi comuni quali la rapidità di tempi di raccolta dei fondi e i minori costi di finanziamento. Da sottolineare ancora una volta l’importanza della condivisione del progetto con la rete: la raccolta fondi via web basata su meccanismi di profit sharing infatti può sviluppare un grado di efficacia ottimale solo se la community percepisce i benefici sociali al punto da accettare di non massimizzare i rendimenti individuali pur di concorrere. Ma a questo, si sa, ci pensa il marketing.
Ora non resta che attendere in Regolamento di Consob che dovrebbe arrivare ormai a giorni per sbloccare un meccanismo che sembra avere tutti i numeri per farcela.