15 Giugno 2016

L’ultima, inutile fantasia sul credito cooperativo italiano

L’ultima, inutile fantasia sul credito cooperativo italiano

Ora che i sessanta giorni previsti dalla legge di riforma del credito cooperativo per esercitare l’opzione di uscita dal modello del gruppo unico sono trascorsi, la navigazione delle BCC verso the brave new world non ha più ostacoli. O meglio ne avrà altri, ma non quello della defezione, che annovera solo 2 o 3 istanze di way out, sulle quali nelle prossime settimane si pronunceranno autorità nazionali e BCE. Quindi un successo non da poco in nome della coesione cooperativa, anche se le impervie barriere all’uscita (20% di imposta sul patrimonio, sessanta giorni per presentare istanza, senza conoscere i termini del patto di coesione, manifestazioni pubbliche di scoraggiamento delle authority) hanno facilitato la scelta di altre BCC, che avrebbero voluto tentare la strada della spa da conferimento, ma che, alla fine, hanno ripiegato in buon ordine, agganciandosi alla carovana Federcasse. Auguriamo alle eccezioni un positivo esito del loro coraggioso percorso, che la legge consente nel rispetto del requisito dei 200 milioni di patrimonio.

Al mondo assolutamente maggioritario del nuovo modello di aggregazione cooperativa non resta ora che:

  1. conoscere finalmente le nuove regole del gioco, leggi contratto di coesione
  2. stendere piani industriali sostenibili
  3. scrivere nuovi processi di Governance e operativi
  4. affrontare il tema delle fusioni, del ridimensionamento delle reti territoriali e degli esuberi di personale
  5. decidere se ridurre o aumentare gli organismi centrali e se ridimensionare o meno i corpi intermedi (leggi Federazioni regionali),
  6. uniformare i sistemi informatici,
  7. attendere, con qualche trepidazione, il giudizio conclusivo della BCE sull’intero nuovo impianto. Scusandoci se possano essere sfuggiti altri aspetti, non va dimenticato che la principale istanza della riforma resta quella di intervenire sulle precarie condizioni del credito cooperativo, come confermano anche i risultati negativi 2015 dei principali sistemi regionali, resi noti in questi giorni. In sintesi, si tratta di aprire un’articolata fase costituente, della durata di qualche anno, senza molti punti di riferimento e una leadership che, invece di essere richiamata alle proprie responsabilità, sembra più in sella che mai.

Come richiede ogni riforma che si rispetti, verranno aperti cantieri di lavoro, con stuoli di consulenti, che si muoveranno nel contesto delle peculiarità di questa rivoluzione in cui centro e periferia si attrarranno secondo nuove leggi gravitazionali. La farà da padrone la “prima legge universale della devoluzione” dei poteri del governo societario secondo la quale le BCC sopravvissute dopo alcune inevitabili aggregazioni (almeno una cinquantina, con peso pari al 16% dell’intero sistema sono date pubblicamente per decotte) saranno proprietarie di una capogruppo bancaria, ma ne verranno a loro volta governate, secondo una rilettura in chiave moderna della dialettica servo-padrone di hegeliana memoria.

Principi di scienza astronomica e di filosofia dello spirito comporranno questa mirabile e complicata sintesi. Tornando alla tecnica bancaria, tali attribuzioni riguarderanno i poteri di indirizzo e coordinamento, di pianificazione e controllo di gestione, il risk management, la gestione della liquidità, la centralizzazione dei servizi, tra cui quelli ICT, da acquistare rigorosamente all’interno delle società del movimento, la uniformazione dei prodotti creditizi e finanziari che la capogruppo bancaria creerà, rendendone obbligatoria la distribuzione da parte di tutte le BCC. In cambio, queste riceveranno protezione dalla capogruppo e dalle altre associate attraverso un’articolata rete di garanzie incrociate.

Guai dunque a dire che non si è salvaguardata l’autonomia cooperativa e il principio di molteplicità delle BCC presenti sul territorio. Questi gusci di banca manterranno responsabilità e organi aziendali, purtroppo per loro da ridurre all’osso per contenerne i costi di mantenimento. Nelle more dell’avvio del nuovo contratto di coesione, funzionerà, in caso di nuove crisi, il quarto fondo di garanzia (temporaneo, ma obbligatorio), appena costituito con una dotazione di 400 milioni e contributi già in esazione.

Auguri di buona navigazione a tutti i naviganti, soprattutto auguri di non disperdere le poche risorse finanziarie rimaste per gli investimenti richiesti dalla trasformazione sia del business sia della tecnologia. Alle esigenze di finanziamento risponderà la capacità di attirare capitali da parte della nuova Holding capogruppo, che, fin dall’inizio, dovrà avere almeno un miliardo di patrimonio. E ciò sia ben presente anche a coloro che, secondo alcune iniziative di questi giorni, vorrebbero costituire altri gruppi nazionali. Ma non c’era davvero altro modo per una riforma meno complessa, in grado di salvaguardare i principi cooperativi e rendere più efficiente, moderno e solido il banking territoriale, magari riferendosi alle esperienze maturate in altri settori dell’economia cooperativa? Non c’era davvero altro modo per essere diversamente cooperativi? Proviamo a descrivere una soluzione diversa, facendo il semplice esercizio di estendere al sistema nel suo complesso il modello ora riservato alla way out. …