28 Giugno 2016

Rivoluzione Bcc: intervista al Dott. Paolo Giuseppe Grignaschi

Rivoluzione Bcc: intervista al Dott. Paolo Giuseppe Grignaschi

La riforma della Bcc è ormai pienamente operativa ed i progetti, le idee, i dubbi e le supposizioni che si sono rincorse in tutto il movimento in questo ultimo anno, si trovano ormai a doversi “scontrare” con la realtà sempre più prossima. A questo punto è forse legittimo chiedersi: questa riforma può essere davvero una risposta efficace alla debolezza del modello societario, contestata alle BCC?

Questo dipenderà da come verrà costruita. Quello che è certo è che la riforma si innesta in un contesto generale che vede il sistema bancario, nel suo insieme, di fronte a difficoltà che impattano direttamente sulla continuità del loro modello di attività e sul ruolo storicamente svolto nell’ambito dell’economia. Penso al tema delle sofferenze, dell’evoluzione tecnologica, del livello dei tassi di interesse, delle tendenze alla disintermediazione. Anche l’attività bancaria legata alla cooperazione di credito si deve confrontare con questa realtà, sulla quale sembra prevalere una tendenza – sia a livello di policies internazionali che di dottrina – al consolidamento, all’apertura al mercato dei capitali, al conseguimento di economie di scala. La riforma va inquadrata anche in questa lettura.

Uno dei punti chiave riguarda la figura della “capogruppo” ma sin dalle prime letture dei testi normativi è sorto un dubbio: rappresenterà una opportunità o rischia di diventare una “camicia di forza” per le BCC?

Sicuramente, nell’ottica della singola BCC, che magari ha costruito negli anni un buon posizionamento a livello micro-territoriale e che vanta buoni risultati, il consolidamento e la figura della Capogruppo possono essere visti come un’ingerenza limitante,  una “camicia di forza”. Se al contrario si abbraccia la logia e la visione di Gruppo, la riforma può costituire un’opportunità di crescita e guadagno di competitività. E’ questione di prospettiva.

C’è il rischio inoltre questa Riforma trasformi le BCC in semplici sportelli della capogruppo?

Il risultato in questo caso sarà direttamente correlato alle scelte organizzative che saranno prese. L’articolazione territoriale del gruppo, il suo baricentro, saranno a mio avviso temi centrali. Anche in questo caso però, tali scelte risulteranno tanto più efficaci quanto più legate ad una visione di sistema guidata da logiche di tipo imprenditoriale improntate all’efficienza e alla razionalizzazione.   

L’adozione di una nuova filosofia potrebbe paradossalmente pregiudicare il mantenimento di condizioni patrimoniali adeguate da parte delle BCC o il risultato – in termini economici- sarà in ogni caso migliorativo?

L’obiettivo è quello di rendere il sistema più stabile, superando quei vincoli che oggi non consentono un ricorso tempestivo al mercato dei capitali in caso di necessità, con un approccio di risk management di gruppo che persegua nel continuo la migliore allocazione delle risorse in termini di rischio/rendimento. Anche in questo caso, la posizione del singolo non è detto che sia migliorativa; ci auguriamo che quella consolidata d’altro canto lo sia.

In attesa delle Disposizioni attuative, è possibile immaginare cosa ne sarà, veramente, del fine mutualistico? E ancora, il modello cooperativo ne esce indebolito o, al contrario, può essere questa un’occasione per farlo uscire rafforzato?

Il fine mutualistico sarà salvaguardato facendo leva su scelte organizzative in grado di valorizzare l’originalità del nostro modello, sulla scia di significative esperienze europee di cooperazione di credito. Serve in questo senso un giusto bilanciamento fra la visione e le scelte di tipo imprenditoriale e la tutela del principio mutualistico e del rapporto con i soci. Se viene meno questo si rischia l’equiparazione ai grandi gruppi tradizionali, senza però i dovuti livelli di efficienza interna.

Un passaggio fondamentale riguarda le scelte che in queste settimane le singole realtà hanno fatto e da cui dipenderà il prossimo futuro che, a suo avviso, sarà disgregativo o favorirà soluzioni principalmente aggregative?

La tendenza è stata sicuramente aggregativa. Ho già avuto modo di dire che la “way-out” in realtà si è trasformata in “way-in” e si sono rivelate un numero maggiore le BCC già – per vari motivi – fuori dal sistema ad essere rientrate che quelle che effettivamente ad essere uscite. Il credito cooperativo ha comunque rappresentato – con i suoi limiti –  un valido ombrello per tutto il sistema. Questa particolare fase di mercato può aver scoraggiato poi singole iniziative di trasformazione, anche in considerazione dei costi, anche di natura fiscale, connessi con l’operazione.

Ed a proposito di futuro, cosa ne sarà delle Federazioni?

Le Federazioni possono giocare un ruolo importante nella futura articolazione del gruppo, a patto che rivedano il proprio modello di attività e soprattutto si consolidino in sei o sette realtà, perseguendo economie di scale e efficientamento interno. Le Federazioni – anche se non in maniera uniforme – erogano ad oggi servizi, anche in totale outsourcing, che le BCC non potrebbero sostituire a breve termine. Questi processi vanno ridisegnati nell’ambito del modello organizzativo di gruppo, assegnandoli ai vari livelli secondo logiche di razionalizzazione interna.

In questa fase strutturale tutte le energie sono concentrate sugli assetti di cui dotarsi, ma prima o poi bisognerà spiegare questa evoluzione ai propri clienti: è un dato che vi preoccupa o confidate che ciò non pregiudicherà l’attuale qualità del rapporto con la clientela?

Bisogna dimostrare ai clienti di valere la loro fiducia. Il cliente prima di tutto valuta il servizio offerto e la sua esperienza con la banca. La costruzione del gruppo bancario cooperativo non può che essere orientata ad un unico fine: servizi più competitivi per i nostri clienti e vantaggi reali per le nostre compagini sociali. Su questo terreno si giocherà la partita del rapporto con i clienti e, in generale, della competitività.

Che si tratti di una piccola rivoluzione è ormai assodato così come è chiaro che essa sia una, delle tante conseguenze, di un sistema europeo bancario provato dalla crisi, ma serviva davvero per il credito cooperativo una riforma di tale entità o si finirà per sussurrare che, tanto per cambiare, “si stava meglio, quando si stava peggio”?

Questo è un atteggiamento che purtroppo sta riguardando sempre più insistentemente la situazione economica e sociale generale del nostro Paese. In questo contesto, potremmo dire che il “peggio poteva essere molto peggio”. Come accennato, l’attuale fase di mercato non lascia spazio alla frammentazione e alla perdita di competitività: l’era della BCC completamente indipendente, operante in forma “atomistica” credo possa dirsi conclusa, bisogna anche saper guardare avanti.