07 Marzo 2016

Riforma BCC: cosa non piace a Banca d’Italia

Riforma BCC: cosa non piace a Banca d’Italia

Non convince ancora il decreto legge sulla riforma del Credito Cooperativo italiano, che raccoglie le riserve della stessa Banca d’Italia per mezzo di un intervento in cui, il Capo della Vigilanza ne ripercorre, capo per capo, le criticità.

Pare che infatti il progetto legislativo non sia in grado di sopperire alle debolezze del modello di governance delle Bcc, alla necessità di essere più competitivo e soprattutto all’altezza dei nuovi standards della vigilanza europea. Sebbene esso si muova nella giusta direzione in via di principio, nel dettaglio tuttavia adotta soluzioni che mostrano evidenti criticità.

Prima fra tutte la previsione sui poteri di nomina della capogruppo che nella formulazione della norma appare incoerente con la ratio della riforma. La limitazione infatti dei poteri di nomina e revoca nei soli casi “motivati ed eccezionali” (articolo 37-bis, comma 3, lettera b), n. 2) renderebbe deboli i poteri di direzione e coordinamento della capogruppo, con pregiudizio per la stabilità delle singole banche e del gruppo nel suo complesso. Dunque ampliare i poteri di nomina e revoca, non limitandoli soltanto a casi “eccezionali”, auspica Barbagallo.

Fa sempre capo alla capogruppo l’altra criticità riscontrata e relativa alla titolarità del capitale. La norma dispone che la maggioranza del capitale della capogruppo sia detenuta dalle BCC aderenti al gruppo, ma occorrerebbe prevedere la possibilità per le autorità di autorizzare le BCC a scendere sotto la soglia della maggioranza del capitale della capogruppo nei casi di difficoltà patrimoniali  e  favorire l’ingresso di soggetti esterni in grado di apportare i capitali necessari.

Cos’è il Way-out

  Possibilità, per le BCC aventi un patrimonio netto superiore a 200 milioni di euro, di trasformarsi in s.p.a. senza devolvere il patrimonio ai fondi mutualistici per la cooperazione dietro corresponsione all’erario di un’imposta straordinaria pari al 20 per cento delle riserve.

Altro tema principale è il c.d. way-out in termini di coerenza e compatibilita’ con la legislazione cooperativa generale e con quella speciale delle banche di credito cooperativo, nonché con i principi costituzionali rilevanti in materia, tra cui la libertà d’iniziativa economica, la tutela della cooperazione mutualistica e quella del risparmi. Si aggiunga inoltre che lo stesso Barbagallo sottolinea come la misura prevista per l’imposta straordinaria rischia di concedere vantaggi ingiustificati a chi esercita l’opzione di uscita, risultando inferiore al complesso delle agevolazioni fiscali ricevute dalla cooperativa nel corso del tempo. Dunque una tale previsione andrebbe maggiormente contestualizzata magari prevedendo che tale facoltà sia esercitabile in un circoscritto arco temporale e soltanto da quelle BCC che presentino il richiesto ammontare dell’aggregato patrimoniale a una precisa data passata di riferimento.

Vi sono poi delle precisazioni che vengono fatte circa l’opportunità di alcune scelte fatte dal legislatore quale quella di attribuire al MEF competenze normative di attuazione troppo tecniche che invece, sarebbero più correttamente da attribuire alla stessa Banca d’Italia quale autorità creditizia anche alla luce del recepimento della Direttiva CRD IV.

Dubbi poi permangono su scelte redazionali poco chiare, come nel caso dell’art.150 bis Tub relativo alle azioni di finanziamento nonché sulla scelta di eliminare la possibilità, prevista dall’art.36 Tub, per le Bcc di fondersi in una banca popolare previa la dovuta autorizzazione.

Non rimane che aspettare l’esito della conversione al fine di capire se vi è stata una sensibilità del legislatore nel cogliere i suggerimenti che, in questi giorni frenetici, sono giunti da più parti peraltro accomunate –  seppur nella eterogeneità delle istanze rappresentate – dalle medesime preoccupazioni. Il che dovrebbe far riflettere, probabilmente, sulla fondatezza delle stesse.