05 Novembre 2015

Proporzionalità: one size does not fit all

Proporzionalità: one size does not fit all

L’autunno si sa è tempo di cambio stagione e stravolgimenti, a maggior ragione in un anno in cui esso cade tra la rovente estate della 288 e le relative incombenze ottobrine. Fatto sta che ormai tutti hanno dovuto familiarizzare con l’idea di creare modelli organizzativi improntati a criteri di efficienza e legalità intesa quest’ultima come rispetto dell’insieme delle regole che il legislatore ha disegnato.

E tutti hanno dovuto – loro malgrado- scontrarsi con la realtà che poco importa se l’intermediario sia piccolo o grande, autorizzato o iscritto, preesistente o nascente, poiché quella “proporzionalità” che la disciplina invoca in tema di presidi strutturali e di controllo non è una giustificazione per alleggerire incombenze e sfoltire i funzionigramma  tout court in nome di una limitata dimensione ma, è solo una chiave di lettura che fa salvi principi sistematici imprescindibili.

Non basta infatti accorpare funzioni, affidando lo svolgimento della funzione di conformità alle norme e della funzione di controllo dei rischi alla medesima struttura, esternalizzando o unificando, ma occorre principalmente comprendere come il principio di proporzionalità sia un canone interpretativo per trasporre le indicazioni di vigilanza dalla teoria (della previsione normativa) alla pratica operativa; una lente attraverso cui visualizzare la propria specificità aziendale alla luce degli obiettivi posti dalla vigilanza. La sana e prudente gestione, la stabilità, il presidio del rischio concorrono in questa logica tanto con il ruolo di fine, quanto di mezzo che gli intermediari devono utilizzare per individuare soluzioni organizzative adeguate e non solo proporzionate.

La proporzionalità dunque a veder bene non alleggerisce ma carica gli intermediari di un’ulteriore responsabilità: decidere la propria veste strutturale non recependo un modello standard precostituito dalla norma ma cucendolo ad hoc, stando attenti a non tradire regole sacre per cui “se dispongo, non faccio” e fermo restando il perimetro del conflitto d’interesse. Anzi non è da escludere che in determinati contesti aziendali la proporzionalità richieda un livello più elevato di organizzazione, proprio per far fronte alle esigenze della minore dimensione.

In questa impegnativa attività di ripensamento della struttura sarà altrettanto importante l’attività di formalizzazione dei processi decisionali e delle ragioni che hanno comportato l’affidamento delle funzioni al personale,  con la precisazione che gli intermediari sono sempre più chiamati a dotarsi di politiche di gestione delle risorse umane tali da assicurare che il personale sia realmente provvisto delle competenze e delle professionalità necessarie per svolgere i compiti ad esso attribuiti.

Ecco che allora la proporzionalità, tradizionalmente intesa quale “criterio di esercizio del potere adeguato al raggiungimento del fine, con il minor sacrificio degli interessi dei destinatari” da esimente diviene piuttosto sinonimo di organizzazione, sì proporzionata ma efficiente ed ideata tenendo conto delle reali competenze delle risorse deputate a ricoprire ruoli, perché per quanto perfetta in teoria possa apparire la scelta organizzativa, nella quotidianità non sono solo i processi a fare il lavoro, sono anche (e soprattutto) le persone.