15 Maggio 2017

NPL, IFRS9 e responsabilità della banca per la segnalazione

NPL, IFRS9 e responsabilità della banca per la segnalazione

Il tema delle sofferenze bancarie è ormai all’ordine del giorno e benché pare che non la ripresa economica il problema dei crediti deteriorati si stia gradualmente ridimensionando, rimane avvolto da una sorta di aura di sacralità. Delle sue cause si è a lungo discusso e studiato: la lunghezza dei tempi di recupero dei crediti dovuta anche all’ingolfato processo italiano, l’eccezionale fase recessiva che ha colpito l’ economia negli anni della crisi, la gestione bordelline dei governi apicali del passato e le scelte imprudenti nell’allocazione del credito. Inutile addentrarsi nel movente: se abbiano agito per ignoranza, colpa o spregiudicato dolo poco importa ormai, perché non cambia il risultato finale e soprattutto gli effetti a livello sistemico. In uno studio recente di Banca d’Italia si legge che la correlazione negativa tra NPL e la crescita del credito sia da ricondurre principalmente a variazioni nelle condizioni economico-finanziarie delle imprese e alla contrazione nella loro domanda di credito. Allo stesso tempo, incrementi esogeni degli NPL, con i relativi aumenti negli accantonamenti, possono determinare una correzione negativa nell’offerta di prestiti.

Quale che sia la causa o l’effetto c’è un profilo operativo importante che riguarda la capacità dei protagonisti di saper cogliere tempestivamente il deterioramento della qualità del credito e prevedere adeguati meccanismi di assorbimento delle perdite magari già improntante al modello prospettico dell’ IFRS 9 (e non solo alla rilevazione delle perdite in base ad eventi passati e condizioni attuali, rinviando la rilevazione delle perdite su crediti al momento del verificarsi di un evento che ne causi la svalutazione). Da qui una ponderata attività di possibile declassamento del credito che tenga dunque conto del disposto normativo, delle aspettative della vigilanza e, ultimo ma non ultimo, la posizione del cliente il quale subisce gli effetti delle politiche di gestione del rischio, talvolta con effetti nefasti. E cosa accade se dall’errata gestione della sofferenza derivi un danno proprio al cliente? Se n’è occupato il Tribunale di Brindisi con un’ordinanza relativa ad un caso di valutazione del comportamento di una banca che avrebbe contribuito a far sorgere i presupposti per la segnalazione di due imprese clienti alla Centrale Rischi, segnalazione effettuata dalla banca medesima.

In particolare il Tribunale di Brindisi, stante la situazione di grave indebitamento delle società ricorrenti operanti nel settore edilizio, ha valutato la condotta della banca in relazione alla mancata erogazione di un finanziamento a fronte degli stati di avanzamento di lavori effettuati dalle imprese: il CTU incaricato dal Tribunale ha accertato che a fronte della delibera di concessione di tre mutui alle due società, di importo complessivo superiore ai cinque milioni di euro, la banca ne avesse erogato poco più della metà. Il CTU ha inoltre appurato che, nel corso di circa otto anni, la banca avesse concesso otto mutui fondiari alle società ricorrenti le quali, per garantirsi un tasso stabile degli interessi dei mutui (previsti a tasso variabile) sottoscrivevano, su proposta della banca medesima, dei contratti derivati di swap (uno dei più moderni strumenti di copertura dei rischi utilizzato prevalentemente dalle banche, dalle imprese e anche dagli enti pubblici che in questi anni sono stati, e sono tuttora, la causa di gravi dissesti finanziari da parte degli utilizzatori per la loro rischiosità molta elevata).  Detti contratti avevano determinato oneri a carico delle società per circa 600.000,00 euro che, addebitati sui conti di appoggio dei mutui, avevano determinato lo sforamento dell’affidamento concesso con conseguente segnalazione a sofferenza delle società.

Veniva instaurata una causa per l’annullamento dei contratti swap da parte delle società che si concludeva anticipatamente per effetto di una transazione con la banca, la quale rinunciava a parte degli interessi maturati a fronte dell’abbandono della causa civile da parte delle clienti. Lo stesso giorno in cui veniva formalizzato l’abbondono della causa, la banca deliberava la concessione dei tre mutui sopra indicati, pur erogando parzialmente le somme deliberate.

La banca successivamente provvedeva a comunicare ad una delle due società la revoca degli affidamenti, intimando il pagamento del dovuto, e dopo circa un anno provvedeva a segnalare alla Centrale Rischi il passaggio a sofferenza di entrambe le società, che sarebbe stata determinata, a dire della banca, da una valutazione di rischio patrimoniale caratterizzata dalla previsione di una seria difficoltà di recupero del credito.

Tutto ciò è avvenuto, come verificato dal CTU, quando la situazione finanziaria delle società non aveva subito alcuna variazione rispetto al momento della concessione dei tre mutui, risultando l’inadempimento nel pagamento delle rate di mutuo: difatti, per espressa volontà delle parti, i tre mutui accordati non erano destinati ad estinguere il debito ma alla prosecuzione dell’attività delle società che, nel lungo periodo, avrebbe potuto fornire i proventi necessari a risolvere la crisi finanziaria.

Il Tribunale ha quindi dichiarato che il declassamento del merito creditizio delle società non fosse supportato da motivazioni ragionevoli, ritenendo illecite la revoca degli affidamenti e la richiesta di rientro da parte della banca.

Quest’ultima infatti da un lato ha concluso una transazione per sottrarsi all’alea del giudizio e dall’altro ha concesso nuovi affidamenti alle clienti, impegnandosi alla loro erogazione: così facendo ha ingenerato un ragionevole affidamento da parte delle clienti nel proseguimento dei rapporti economici e, nel contempo, ha revocato gli affidamenti, contribuendo ad aggravare la situazione economica delle clienti, già di per sé alquanto complessa.

Pertanto il Tribunale di Brindisi ha ravvisato nella condotta della banca un inadempimento dell’obbligo di buona fede oggettiva, tutelato anche a livello costituzionale con il principio di solidarietà economica e sociale di cui all’art. 2 della Costituzione, ragione per cui “deve ritenersi che l’avvenuta segnalazione sia connotata da profili di abusività e, quindi, di illiceità”.

Conseguentemente, per quanto concerne la segnalazione alla Centrale Rischi, il Tribunale ha statuito che “ne deve essere ordinata la cancellazione, dovendosi ritenere concettualmente inammissibile, per gli operatori bancari, il potere-dovere di procedere ad una segnalazione i cui presupposti abbiano contribuito a far insorgere. Sotto altro aspetto, prima facie, non sembra meritevole di essere segnalata alla Centrale Rischi, per la carenza di disvalore giuridico, una situazione in cui l’impresa non è la principale artefice del proprio dissesto, ma lo stesso sia in qualche misura eterodeterminato”.

Nel riprendere un passaggio dell’audizione alla Camera dei Deputati del Vice Direttore Generale della Banca d’Italia, è senza dubbio evidente che aldilà delle norme, la pratica invoca una soluzione del problema dei crediti deteriorati che richiede tempo. Ma, mentre parliamo il tempo, invidioso, sarà già fuggito. Godi il giorno, confidando meno che puoi nel domani. Quinto Orazio Flacco docet.