22 Febbraio 2016

La violazione del principio di buona fede non obbliga la banca al risarcimento del danno
Nel caso trattato il cliente di una banca, determinatosi ad intraprendere una attività imprenditoriale nel settore delle residenze sanitarie assistite decideva, unitamente ai suoi soci, di acquisire le quote di una società proprietaria di un terreno da destinarsi ad edificazione di immobili da adibire alla predetta attività. Tale acquisto era contrattualmente previsto entro il 30.11.2006 e, per reperire i fondi necessari, l’attore si era rivolto alla banca convenuta, incontrando più volte il direttore della filiale di Piacenza, il quale garantiva che il finanziamento richiesto, pari ad euro 800.000,00, sarebbe stato erogato a fronte del versamento, da parte dell’attore e dei suoi soci, dell’importo di euro 300.000,00 a garanzia del mutuo. Detto versamento veniva eseguito a favore della banca tre giorni prima della sottoscrizione del contratto di vendita delle quote societarie predette.
Inspiegabilmente la banca, la sera prima dell’acquisto delle quote, comunicava per il tramite del direttore di filiale che il finanziamento non poteva essere più concesso e provvedeva a restituire le somme versate dal cliente a garanzia. L’attore si vedeva quindi costretto a rinunciare all’intera operazione imprenditoriale non avendo più il tempo per poter reperire i fondi necessari, e per tale motivo chiedeva al Tribunale di Piacenza di voler accertare il proprio diritto al risarcimento del danno per inadempimento del contratto di mutuo o, al limite, del preliminare di mutuo o, in subordine, per responsabilità precontrattuale della banca per interruzione ingiustificata delle trattative.
Il Tribunale preliminarmente procedeva a verificare i fatti contestati ed accertava che non risultavano richieste di chiarimenti o rifiuti espressi da parte della banca al finanziamento di euro 800.000,00, così come risultava versata la somma di euro 300.000,00 a garanzia del mutuo. Altresì certo era il diniego della banca manifestato il giorno prima dell’atto di acquisto della quote societarie, che non veniva più stipulato.
Ciò posto, il Tribunale ha escluso che tra le parti si fosse perfezionato un contratto di mutuo in quanto “tale contratto ha natura di contratto reale, cioè di contratto che si perfeziona esclusivamente con la consegna materiale del denaro: non avendo la convenuta mai erogato finanziamento di sorta, e non avendo neppure, nel rispetto della previsione di cui all’art 117 T.U.B., fatto firmare ai potenziali clienti alcun contratto scritto, si deve senz’altro escludere che qualsivoglia contratto di finanziamento sia stato concluso tra le parti”.
Altresì il Tribunale accertava l’inesistenza di un contratto preliminare di mutuo, e di eventuali violazioni da parte della banca, essendosi svolte solo delle trattative e non avendo l’istituto bancario mai deliberato il finanziamento in questione.
Il Tribunale di Piacenza è quindi passato ad esaminare la doglianza dell’attore in merito all’aver inutilmente confidato nella erogazione di un finanziamento, poi non concesso, avendo la banca tenuto un comportamento contrario ai principi di buona fede e di correttezza, dapprima facendogli ragionevolmente credere fondata la possibilità della conclusione del finanziamento, sino al punto di richiedergli, quale controparte del futuro contratto, una serie di iniziative univocamente finalizzate all’erogazione del mutuo per poi, in maniera repentina e non giustificata, rifiutare il finanziamento, così causando all’attore pregiudizi di ordine economico che formano oggetto di richiesta risarcitoria.
Il Tribunale ha ricordato l’indirizzo costante della Corte di Cassazione in materia, la quale ha sempre sostenuto che perché possa ritenersi integrata la responsabilità precontrattuale di cui all’art. 1337 c.c. è necessario che tra le parti siano in corso trattative giunte ad uno stadio idoneo a far sorgere nella parte che invoca l’altrui responsabilità il ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto, oltre che la parte di cui si invoca la responsabilità abbia interrotto le trattative senza un giustificato motivo, ed infine che, pur nell’ordinaria diligenza della parte che invoca la responsabilità, non sussistano fatti idonei ad escludere il suo ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto.
Dalle risultanze istruttorie della causa, le trattative intercorse tra le parti erano giunte ad uno stadio tale da far legittimamente ritenere concluso il contratto, e quindi si è trattato di “trattative affidanti”, e cioè quelle nel corso delle quali le parti abbiano preso in seria considerazione gli elementi essenziali del contratto da concludere, giungendo ad uno stadio idoneo a far sorgere nella parte che invoca l’altrui responsabilità il ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto. Inoltre il Tribunale ha ritenuto dimostrato che il recesso repentino dalle trattative da parte della banca fosse ingiustificato, affermando che il comportamento della banca non fosse stato conforme ai principi di buona fede ad essa imposti, i quali devono essere sempre garantiti anche nella fase delle trattative.
Nonostante ciò, il Tribunale di Piacenza non ha accolto le richieste risarcitorie dell’attore, che aveva chiesto a titolo di danno l’importo corrispondente alla rata del finanziamento non concesso, in quanto “in presenza di accertata responsabilità precontrattuale della banca grava sull’attore l’onere di provare il danno patito, inteso come interesse negativo, senza alcun ricorso a generici criteri equitativi”, ma tale prova non è stata fornita dall’attore. In sostanza, la perdita della possibilità di conseguire un risultato utile (la c.d. chance) configura una lesione del diritto all’integrità del proprio patrimonio, la cui risarcibilità è però conseguenza del verificarsi di un danno emergente da perdita di possibilità attuale, che va provato, e mai di un futuro risultato utile, come sostenuto dall’attore.