18 Aprile 2016

La riforma tombale

La riforma tombale

La c.d. “riforma del credito cooperativo” ha suscitato forti tensioni interpretative e lascia intravedere più che probabili, similari strascichi nel prossimo periodo, susseguente la sua scontata attuazione. Il tema assume carattere di centralità per gli obiettivi del Governo: quindi, a ben intendere, difficilmente formerà oggetto di ripensamento nell’ambito delle strategie esecutive.

Il nucleo della riforma è rappresentato dalla previsione di accorpamento delle banche di credito cooperativo, in una holding cui assegnare, in sostanza, compiti sia strategici che di direzione e coordinamento.

Lasciando (non è ben chiaro come) ai singoli istituti il mantenimento delle relazioni con la clientela, nei territori di riferimento. Ciò che ha da sempre caratterizzato l’attività di queste aziende: la prossimità, intesa come presenza concreta, effettiva, verso la clientela, spesso di categoria micro che, altrimenti, non avrebbe mai potuto avere alcun accesso al credito bancario.

Il tutto attraverso un “contratto di coesione”: sorta di accordo di affiliazione i cui contenuti, seppur accennati nel testo della norma appaiono, per lo più, poco chiari.
Nei fatti, le singole BCC manterrebbero (?) il contatto con il territorio…sulla base delle indicazioni ricevute dalla capogruppo. Un contatto “guidato”, fuor di metafora.

La soluzione, allora: la possibilità di non aderire al gruppo, tramite l’esercizio della c.d. “way out”. Facoltà concessa a quelle banche dotate di un patrimonio minimo che potrebbe assicurare un futuro di sopravvivenza (€ 200 mln).

Alla data del 31 dicembre 2015. A pagamento: 20%, da versare allo Stato, a valere sul totale del patrimonio. A tutela della indivisibilità delle riserve.
Una facoltà che richiama una sorta di coercizione, a meno di errori interpretativi.

Quindi: o si decide, spontaneamente, di affiliarsi o si decide, coscientemente, di pagare una imposta straordinaria di suddetta, non proprio marginale, entità. Le istituzioni spingono affinché la riforma venga approvata, nella formulazione già oggetto di emendamenti: ne va della certezza di stabilità dell’intero sistema, ci hanno fatto sapere.

Penso che il Rischio Sistemico debba essere alla base di qualunque politica di gestione del credito nel medio e lungo termine. Sono convinto che le esigenze di pochi non possano inficiare la stabilità del complesso del settore. Credo, però, che alcune fattispecie operative, frutto e radici della cultura di questo Paese, non possano e non debbano in alcun modo essere spazzate via ex lege. D’accordo su una rivisitazione dei ruoli strategici, soprattutto in termini di competenza e professionalità di chi quelle strategie le deve individuare ed eseguire. Ma, con riferimento alla storica attività delle banche di credito cooperativo, storicamente esercitata ed in futuro da esercitare nei territori di loro assegnazione, dubito fortemente che questa possa essere mantenuta e salvaguardata affidandola, in sostanza, alla gestione di terzi che con quei territori ben poco hanno ed avranno mai a che fare. Ma le intenzioni delle istituzioni, al proposito, sono evidenti laddove è stato affermato che “è fondamentale che la capogruppo del gruppo bancario cooperativo disponga di efficaci poteri di nomina, revoca e sostituzione degli organi delle BCC” (Carmelo Barbagallo, Capo del Dipartimento Vigilanza Bancaria e Finanziaria della Banca d’Italia – intervento presso Fondazione Italianieuropei – Roma, 21 marzo 2016).

A pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca.

Mi sembra già di udire i rintocchi del De Profundis.