02 Marzo 2021

La pandemia vanifica il merito creditizio delle PMI italiane

La pandemia vanifica il merito creditizio delle PMI italiane

L’emergenza sanitaria relativa alla pandemia si intreccia inevitabilmente con una crisi economico-finanziaria che si sta riflettendo in una pesante recessione, generando una serie di squilibri a catena lato Domanda e Offerta a livello globale. Secondo le previsioni della Vigilanza, che la Banca Centrale Europea e la Banca d’Italia hanno rilasciato a supporto delle Banche nel secondo semestre 2020, gli effetti congiunti della pandemia porteranno in Italia a un aumento della disoccupazione fino all’11% nel corso del triennio 2020-2022. Nel 2020 l’Istat segnala come l’economia italiana ha registrato una contrazione di entità eccezionale per gli effetti economici delle misure di contenimento connesse all’emergenza sanitaria. In particolare, il Pil ai prezzi di mercato è stato pari a 1.651.595 milioni di euro correnti, con una caduta del 7,8% rispetto all’anno precedente. In volume il Pil è diminuito dell’8,9%.
In questo contesto le Pmi italiane stanno assistendo ad una vanificazione del loro merito creditizio dovuto al Covid-19. Una ricerca di Modefinance, infatti, sottolinea come parte delle imprese subirà una retrocessione importante nella classifica di rating. E dopo la pandemia il 55% finirà nelle classi più volatili, cancellando i progressi degli ultimi 5 anni e interrompendo il percorso verso una solvibilità sempre più stabile ed elevata.
Secondo il report di Modefinance la pandemia ha arrestato quel percorso virtuoso sul piano del miglioramento del merito creditizio: senza il Covid, quest’anno la valutazione mediana delle aziende italiane sarebbe potuta passare da “BB” a “BBB” (Investment Grade), mentre ora pare destinata ad attestarsi su valori più prossimi alla tripla “C” (Non Investment Grade).
Nelle proiezioni elaborate dalla Fintech, scompaiono infatti quasi del tutto le aziende a tripla e doppia “A”, mentre crescono i rating a doppia “C” (dal 2,81% al 17,45% del totale) e “C” (dall’1,11% al 13,8%), ovvero a un passo dall’insolvenza. In questo difficile scenario le aziende in default passeranno dallo 0,11% al 4,36% del totale del campione analizzato. Anche Banca d’Italia ha lanciato l’allarme nella sua ultima nota “Fallimenti d’impresa in epoca Covid”: ai circa 2.800 fallimenti stimati del 2020, potrebbero aggiungersi altri 3.700 fallimenti “mancanti” del 2020 che non si sono realizzati per gli effetti temporanei della moratoria e delle misure di sostegno nonché per il rallentamento generale dell’attività nei tribunali in conseguenza delle misure di contenimento della pandemia.
Inoltre, secondo la ricerca di Modefinance, sarebbero oltre 70 mila le aziende del campione destinate ad andare incontro a un peggioramento del rating e quindi delle possibilità di accesso al credito bancario: oltre 60 mila aziende potrebbero subire un “downgrade” fino a tre livelli, mentre sarebbero “solo” 7 mila le imprese a venire declassate di 4 livelli e 2 mila di 5 livelli.
Il rating è destinato, secondo le proiezioni, a rimanere stabile solo per il 15% circa delle imprese e a migliorare solo nell’1,36% dei casi. Solo l’1,36% delle aziende potrebbe infine andare incontro a un sensibile miglioramento.
Non manca l’ottimismo: sempre secondo la ricerca, non è escluso che le pmi possano riprendere, nel 2021, il percorso di miglioramento là dove si è interrotto. Questo perché stanno dimostrando maggior resilienza, hanno imparato anche a guardare a canali alternativi di credito e a strumenti per l’efficientamento del capitale circolante. Sarà vitale, tuttavia, il colossale piano di finanziamenti europei con una dotazione di 750 miliardi (Next Generation EU) basato su innovazione, digitalizzazione e sostenibilità delle aziende.

 

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