21 Marzo 2017

La metamorfosi esistenziale del mediatore creditizio

La metamorfosi esistenziale del mediatore creditizio

Il mediatore creditizio, per il suo ruolo di mero intermediario, ha sempre goduto di un sistema di regole semplificato che, in alcuni casi, è addirittura mancato. L’avvento delle nuove norme, l’istituzione di un apposito organismo di vigilanza nonché la maggiore incidenza sul piano del rapporto con il cliente che ha interessato questo “piccolo intermediario”, ne ha provocato una metamorfosi esistenziale. Un cambiamento che ha dovuto fare i conti con una cultura aziendale sovente tarata (ancora) sulla vecchia operatività e sulla convinzione che una scarna offerta di prodotti (intesa quale offerta limitata alla sola mediazione) potesse giovarsi di una sorta di paradiso normativo. Se non altro perché “essendo piccoli, pochi e non eroganti” non ci fosse molto da organizzare o presidiare.

L’evoluzione di questi ultimi anni non solo ha svelato l’erroneità dell’assunto appena citato ma ha svelato un sottobosco di norme e misure – anche di natura organizzativa – nonché un impatto in termini di tutela, sul cliente, degno di nota. Da qui la necessità di adeguarsi con una forma mentis rinnovata ed al passo con i “tempi normativi” in grado di impostare un’adeguata struttura, velocizzare i processi di controllo ed intervento, aggiornare periodicamente l’azienda ed i suoi dipendenti e collaboratori.

Il modello del mediatore infatti, al pari del suo sito, della sua contrattualistica, degli accordi con gli intermediari e così via, non può più oggi basarsi su uno standard inizialmente concepito, ma necessita di un monitoraggio costante oltreché di una professionalizzazione dell’intera struttura.

A proposito proprio della professionalizzazione, uno degli errori più ricorrenti è quello di continuare a concepire l’obbligo formativo quale mero onere formale sprovvisto di ogni incidenza sul piano pratico. Le conseguenze sono evidenti: ammesso infatti che si rispetti il calendario formativo, troppo spesso il “messaggio” non viene recepito ed inglobato nella propria attività così che permane un universo parallelo, nei profili di tutti: quello formale correttamente riportato su attestati e certificazioni e quello sostanziale – e brutale – della realtà in cui si paga il pegno di un acculturamento veloce, superficiale, esclusivamente a distanza (e la dimensione dell’apprendimento non è privo di conseguenze) e vano in quanto incapace di essere tradotto in azioni quotidiane. Questo al pari dell’abitudine di utilizzare, per il contatto con il pubblico, soggetti non iscritti negli Elenchi tenuti dall’Organismo né segnalati da iscritti come loro collaboratori, è indicativo della sottovalutazione del proprio ruolo e dell’incidenza sulla gestione (e tutela) del cliente. Non a caso, la risposta più frequente, a dubbi del genere è “ma risponde solo al telefono” o “si occupa solo dei rapporti con i clienti”. Intorno al “solo” ruota un mondo di regole e sanzioni (affidate a diverse Autorità di vigilanza contemporaneamente competenti) che innalzano quella fase del contatto tra mediatore e cliente, a momento cruciale della relazione complessiva. E ciò anche (si sfati un altro falso mito) se il cliente non sia propriamente un consumatore poiché – ammesso che non si rientri in altre ipotesi ugualmente protette dal codice del consumo – ormai da anni abbiamo imparato la lezione che esiste una stratificazione di regole che bisogna essere in grado di decifrare ed incrociare per rendersi conto che il sistema tutela “ogni cliente” in “qualsiasi momento” del rapporto con il mediatore. In questa ottica merita un cenno l’arte di stringere accordi con i finanziatori, spesso riprodotti sulla base di bozze elaborate una sola volta ad avvio attività e mai più ritoccate e di stilare la documentazione precontrattuale e contrattuale. E lo conferma il fatto che, ad esempio, nel nuovo credito immobiliare ai consumatori, il legislatore abbia previsto una serie di argomenti obbligatori che però vengono trascurati quale quello sul diritto dei consumatori ad esempio, ed il ruolo delle autorità di vigilanza: tutti temi sottovalutati ed esclusi con la conseguenza poi di andare incontro agli errori tipici di “chi non sa, non fa”.

L’assenza di una cultura di tutela del cliente tra l’altro porta ad un assemblaggio di condizioni negoziali stilate seguendo il filo degli obblighi normativamente – via via- introdotti senza uno sforzo di reale adattamento all’operatività dello specifico mediatore, della tipologia di prodotti proposti, del target di clientela interessato. Con il risultato, spesso paradossale, di disegnare testi contrattuali sovradimensionati e soprattutto anti economici e rischiosi per il proponente stesso. Senza parlare del dolente tasto “comunicazione del TAEG” (ivi compreso l’obbligo di cui all’art. 120-decies, comma 2, del TUB anche per le commissioni percepite da finanziatori non convenzionati).

Lo stesso dicasi per la struttura organizzativa: se esiste, capita che sia ragionata male perché non ad hoc e inconsapevole di una veduta prospettica del bussiness plan oltreché sganciata dal Consiglio d’Amministrazione che in molte realtà, unitamente al Collegio sindacale continua ad essere un microcosmo lontano anni luce dalla galassia operativa di tutte le altre articolazioni aziendali.

E la lista sarebbe ancora lunga, a cominciare dai questionari di gradimento: alzi la mano chi li ha ordinatamente e regolarmente archiviati nelle pratiche dei clienti.

Si accettano scommesse.