18 Aprile 2017
Inopponibilità ai terzi degli atti compiuti dai rappresentanti di una società
Con il ricorso esaminato dal Collegio di Milano dell’A.B.F. la società ricorrente ha contestato l’addebito, da parte dell’intermediario, di oneri economici relativi alla richiesta di incremento del valore di un contratto di apertura di credito, precedentemente concesso alla medesima società, in quanto detta richiesta sarebbe stata presentata da soggetto non legittimato.
L’intermediario accoglieva la richiesta della società la quale, dall’esame degli estratti conto, verificava successivamente l’addebito di € 524,74 con causale “spese per visure ipocatastali”:l’intermediario dava riscontro al reclamo presentato dalla società adducendo che tale addebito costituiva una spesa ordinaria in caso di accensione, ovvero di incremento, di un’apertura di credito, espressamente prevista nel relativo modulo di richiesta, presentato dalla società ricorrente.
La cliente invece ha sostenuto l’invalidità della richiesta di incremento in quanto proveniente da un soggetto non autorizzato, essendo il presidente del consiglio di amministrazione l’unico soggetto che poteva validamente inoltrare una simile richiesta, come risultava anche dal Modulo di identificazione in possesso della banca.
In particolare quest’ultima ha sostenuto che il ricorso presentato all’ABF fosse inammissibile in quanto contenente una richiesta diversa dal reclamo inoltrato alla banca, vertendo il primo sull’assenza di legittimazione attiva in capo al soggetto che ha presentato la richiesta ed il secondo sull’assenza di pattuizione degli oneri addebitati; inoltre il soggetto richiedente, secondo la banca, essendo membro del consiglio di amministrazione, era statutariamente investito del potere di rappresentanza sociale e quindi di compiere gli atti inerenti alla gestione ordinaria della Società. La banca ha concluso evidenziando come la società, pur ritenendo invalida la disposizione di addebito delle visure ipocatastali, nel corso dei mesi antecedenti e successivi al ricorso, ha continuato validamente a beneficiare e ad utilizzare un’apertura di credito che non riteneva valida.
Il Collegio di Milano ha preliminarmente affrontato l’eccezione proposta dalla banca di inammissibilità del ricorso per assenza del preventivo reclamo (come detto, tale assenza sarebbe determinata dalla mancata coincidenza dell’oggetto del reclamo e del ricorso) ricordando come sia stata raccomandata l’adozione di “un approccio flessibile” nell’interpretare “la previsione di coincidenza tra reclamo e ricorso”, essendosi affermato “un orientamento favorevole ad una valutazione caso per caso”, nel senso di interpretare la previsione di coincidenza tra reclamo e ricorso senza cadere in eccessi di rigorismo formale, ravvisando tale requisito anche solo quando vi sia identità della vicenda storica e dei fatti contestati e senza che sia necessario che le pretese giuridiche siano pienamente coincidenti. In base a tale orientamento ed all’identità sostanziale di quanto richiesto dalla ricorrente sia nel reclamo che nel ricorso, il Collegio ha ritenuto infondata l’eccezione di inammissibilità della banca.
Con riguardo al merito, il Collegio di Milano ha individuato il tema della controversia nella presunta illegittimità dell’addebito sul conto corrente intestato alla ricorrente di “spese per visure” in quanto autorizzato da un soggetto diverso dall’ “Esecutore per conto dei soci” ai sensi dell’art. 15 e ss. del d. lgs. 231/2007: sul punto, condividendo la tesi sostenuta dalla banca, il Collegio ha affermato che tale normativa, richiamata dalla ricorrente, rileva esclusivamente ai fini del corretto assolvimento da parte dell’intermediario degli obblighi di adeguata verifica della clientela previsti dal d.lgs. 231/2007 in materia di prevenzione dell’utilizzo del sistema bancario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento al terrorismo, mentre “Tale disciplina non attiene invece all’identificazione dei soggetti cui compete il potere di amministrazione e rappresentanza della società”.
Inoltre, dalla visura camerale della società, il soggetto richiedente risulta investito del potere della gestione ordinaria della società, essendo “Consigliere/Amministratore delegato” il quale, secondo lo statuto della società, ha la rappresentanza della società per tutti gli atti che rientrino nell’oggetto sociale, a norma dell’art. 2384 Codice Civile che espressamente prevede “II potere di rappresentanza attribuito agli amministratori dallo statuto o dalla deliberazione di nomina è generale. Le limitazioni ai poteri degli amministratori che risultano dallo statuto o da una decisione degli organi competenti non sono opponibili ai terzi, salvo che si provi che questi abbiano intenzionalmente agito a danno della società”.
Nel rigettare il ricorso, il Collegio di Milano ha specificato che la società non poteva sostenere la mancanza dei poteri in capo all’amministratore che ha sottoscritto la richiesta di aumento dell’affidamento in quanto gli eventuali limiti statutari ai poteri, sia di rappresentanza sia anche di gestione, imposti agli amministratori non possono essere opposti ai terzi, con conseguente validità dell’atto rispetto a quest’ultimi.