26 Aprile 2016

Clausola di intermediazione creditizia: se la banca “gioca” a fare il mediatore

Clausola di intermediazione creditizia: se la banca “gioca” a fare il mediatore

Poniamo il caso che un cliente si rivolga ad un intermediario per ottenere un finanziamento sotto forma di cessione del quinto. Prodotto questo che rientra nell’ambito della normativa del c.d. “credito ai consumatori” la quale fa scattare una serie di obblighi– quale che sia la denominazione del contratto- atti a tutelare il finanziato in ragione della sua qualità di consumatore.

Ne deriva un complesso di norme e regole di comportamento che intrecciano il dettato del Codice del Consumo con le Disposizioni di trasparenza della Banca d’Italia che impongono di valutare attentamente le condotte poste in essere perché molte volte, la “semplice firma non basta”.

E non basta nel caso in cui, il consumatore concluso il contratto, si renda conto di aver pagato una commissione di intermediazione troppo onerosa e dunque decida di agire nei confronti della banca.

Tra le mille strade percorribili potrebbe optare per la tesi dell’usurarietà sostenendo che i costi di mediazione addebitati, sarebbero in contrasto con quanto disposto dall’articolo 644, commi 1 e 3, del Codice Penale, in quanto la relativa pattuizione integrerebbe gli estremi della c.d. usura in concreto. A tal fine, potrebbe dedurre che l’importo addebitato è sproporzionato rispetto – ad esempio-  al compenso medio rilevato dalla Banca d’Italia per la mediazione, ed aggiungere che al momento della stipula versava in una condizione di difficoltà finanziaria.

La prima eccezione sarebbe facilmente supportabile poiché basterebbe il confronto numerico dei dati per appurare se effettivamente la commissione appaia sproporzionata, non soltanto perché relativa a costi riferiti ad un soggetto (l’agente) che fa parte della rete distributiva dell’intermediario, ma soprattutto se si considera che si sta parlando di un’operazione di finanziamento rispondente ad una tipologia generalmente indirizzata a soggetti a reddito fisso.  Più difficile risulterebbe la prova dell’altro requisito previsto dalla norma (ed utile ad integrare il dolo richiesto ai fini dell’integrazione della fattispecie penale), quello dell’approfittamento di una situazione di difficoltà economica o finanziaria, soprattutto se il consumatore, nella fase precontrattuale, abbia omesso di dichiarare l’esistenza di altri impegni finanziari.

Potrebbe allora “abbandonarsi il penale” e tentare la proficua strada della vessatorietà la quale, agganciata a referenti normativi oggettivi, può offrire una tutela più diretta e semplice alle istanze in commento. Il cliente infatti, nei panni di consumatore, potrebbe invocare l’art.33 del Codice del Consumo sostenendo la nullità della clausola relativa alle commissioni di intermediazione, in quanto determinante un significativo squilibrio tra i diritti e gli obblighi del consumatore.

 Si ricordi a tal fine che l’art. 33 del D. Lgs. 206/2005 al primo comma statuisce chenel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio di diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.”

Certo il successivo art.34 esclude la vessatorietà ogni qualvolta la clausola sia stata oggetto di trattativa privata ma quando può dirsi ricorrere questa ipotesi e soprattutto basta dimostrare di aver consegnato la documentazione di trasparenza e aver raccolto correttamente tutte le firme del contratto?

Quanto ai profili attinenti al modulo “Informazioni europee di base sul credito ai consumatori” (c.d. IEB), occorre in primo luogo rilevare che, nell’ambito dei contratti di credito ai consumatori, emerge una sostanziale identità di impostazione dei modelli contrattuali e procedurali che vedono l’automatica consegna di tutta la documentazione contrattuale e precontrattuale al cliente all’atto di conclusione del contratto. Altrettanto in maniera ricorrente accade che il modulo IEB in realtà non venga consegnato – sebbene il consumatore dichiari di averlo ricevuto- o peggio vi sia la consegna ma l’intermediario dimentichi di acquisirne relativa firma e data. In ogni caso occorre prestare attenzione al suo contenuto poiché fornire un mero esempio rappresentativo del costo totale del credito su cifre, però, difformi da quelle relative al contratto sottoscritto può rilevarsi un boomerang.

Sotto il profilo del rispetto degli obblighi precontrattuali, può apparire infatti dotato di scarsa valenza informativa un esempio di calcolo relativo ad un prestito ipotetico, i cui dati siano del tutto diversi rispetto a quelli del finanziamento proposto. L’intermediario dovrebbe al contrario fornire un esempio effettivamente rappresentativo indicando i dati reali della soluzione prospettata al cliente.

Non basta cioè indicare “valori a caso” perché se è pur vero che ai sensi dell’articolo 34, comma 2, cod.cons., la vessatorietà di una clausola non attiene “all’adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi”, è altrettanto pacifico che ciò vale nel caso in cui tale elemento sia indicato in modo chiaro e comprensibile.

Ne’ potrebbe reggere la tesi dell’intermediario di sostenere che la clausola considerata vessatoria sia stata oggetto di trattativa tra le parti e dunque non sia nulla poiché interverrebbe l’art. 125 novies TUB, riguardante gli intermediari del credito, il quale dispone, al comma 2, che “Il consumatore è informato dell’eventuale compenso da versare all’intermediario del credito per i suoi servizi. Il compenso è oggetto di accordo tra il consumatore e l’intermediario del credito su supporto cartaceo o altro supporto durevole prima della conclusione del contratto di credito”. La norma precisa che il compenso risulti da una trattativa con il mediatore, a monte della quale al consumatore deve essere resa disponibile informazione su supporto cartaceo o durevole. Informazione che non può non riferirsi alla puntuale illustrazione dell’adeguatezza della richiesta commissioni.

La conseguenza sarebbe quella di una declaratoria di vessatorietà in forza della quale la clausola relativa alle commissioni di mediazione verrebbe ritenuta nulla. Nessuna commissione sarebbe conseguentemente dovuta dal consumatore e le somme corrisposte a tale titolo dovrebbero essere integralmente restituite.

Caso diverso potrebbe poi essere quello in cui la commissione non sia dovuta poiché l’attività di intermediazione non si sia concretamente verificata come in una fattispecie analizzata nel 2013 dal Tribunale  di Bolzano che ha condannato una finanziaria a restituire al consumatore le somme previste in contratto quali “commissioni agente/mediatore creditizio” ritenendo che tale voce del contratto non fosse dovuta, in quanto il finanziamento era stato concluso senza l’intervento concreto di un “agente” o “mediatore”. L’utente, all’atto della richiesta del prestito, si era infatti recato in una “filiale” della finanziaria, presumendo di parlare con un dipendente della stessa società. Di qui l’obbligo di restituzione dell’importo a carico della società. Ma questa, si capisce bene, è un’altra storia.